La foto della pagina
L’alunno , indicato dalla freccia è il sottoscritto . Non nascondo che tutte le volte che vedo la foto si rinnova una certa emozione . Il laboratorio è tuttora in funzione , conserva credo il suo arredo originale . Vi sono finito poi come insegnante .
L’ I.T.I.S. di Arezzo e la preside Teresa Maresca
Mi sembra opportuno che vi faccia conoscere una breve biografia della mia vita. Ho frequentato l’Istituto tecnico industriale di Arezzo, al quale mi iscrissi nello stesso anno della sua fondazione, il 1960. L’istituto era una novità assoluta nel panorama dell’istruzione della provincia di Arezzo. Il nostro territorio agricolo, se voleva essere investito da quello che è stato definito il boom economico, doveva avere una classe di tecnici da inserire nelle future industrie. Una scelta lungimirante. Fondatrice dell’istituto fu la Prof.ssa Teresa Maresca, di Napoli, che era stata assistente all’Università del famoso chimico Francesco Giordani.
Una scuola guidata con autorevolezza
Vi racconto questo perché chi, come me, in quegli anni fece gli studi in quell’Istituto provò per quella preside timore e ammirazione. Eravamo pochi allievi e la sua presenza continua e autorevole sovrastava anche quella dei nostri stessi insegnanti. La nostra scuola era una sorta di collegio dove ognuno doveva stare al suo posto e un insegnante che non si dimostrava all’altezza veniva “sollecitato “a cambiare scuola. Naturalmente l’indirizzo principale era quello di chimica industriale tanto che la scuola veniva chiamata “Il Chimico“.
L’insegnamento della chimica
Tuttavia l’insegnamento della chimica o meglio delle tante chimiche mi deluse molto, l’attività di laboratorio la vissi con disagio. Insomma uscii diplomato che avevo voglia di una rivincita. Mi iscrissi a Chimica all’università di Firenze. A parte una prima fase di entusiasmo, alla fine tra l’insegnamento impartito all’istituto e quello dell’università le differenze nel metodo erano quasi inesistenti. Quello che mancava ad entrambe era una impostazione didattica e la capacità di coinvolgere.
Il vento del ’68
Venne il ’68, l’università vacillò, i professori persero la loro sicurezza, nacquero i lavori e gli esami di gruppo. Il vuoto nella didattica si riempiva con le istanze sociali di ugualitarismo come il voto unico, gli esami di gruppo, i corsi autogestiti ecc. Una risposta che alla lunga peserà in modo negativo sulla qualità dell’istruzione sia secondaria che universitaria. Rimasi molto coinvolto dalle febbre del sessantotto, tanto che mi ritrovai indietro negli studi, e i miei entusiasmi si diressero verso la politica.
L’insegnamento è una professione che si improvvisa
Finalmente riuscii a finire l’università e ad entrare nel mondo della scuola come insegnante di chimica. Fu un traguardo che avevo desiderato. Avrei voluto fare il medico, ma in quegli anni l’accesso a medicina per gli studenti provenienti dagli Istituti Tecnici era precluso. Si sa che gli insegnanti entrano nella scuola, anche ora, impreparati e che usano modelli di riferimento per il loro insegnamento molto soggettivi. Oggi per esempio un nuovo insegnante è soprattutto un conformista e copierà quello che fanno i colleghi più anziani. Non c’è in realtà un ricambio, un aggiornamento nei metodi. Quello che aveva lasciato in eredità il sessantotto era la voglia di cambiare la scuola, di andare controcorrente e sperimentare strade diverse di insegnamento. Ero tra quelli che questo spirito se lo portarono dietro quando divennero insegnanti.
L’insegnamento può essere un lavoro entusiasmante
Se riconosco di aver nei primi anni insegnato cercando di inventare modi di comunicazione nuovi, con una attenzione verso la psicologia degli studenti, dall’altra devo riconoscere che peccai molto di ingenuità, sopravalutando quello che ottenevo. Ma agli studenti ho sempre dato il massimo di me, soprattutto l’entusiasmo, perché ho finito per conciliarmi con la chimica, amando sempre più questa scienza e soprattutto l’attività di laboratorio, che avevo da studente detestato. Mi chiedo oggi perché ho dedicato tanta passione, tanto tempo al mio lavoro di insegnante.
Per l’insegnamento si può rinunciare a molte cose
Avevo iniziato una attività di consulente presso una nota azienda chimica, e dopo qualche anno, rinunciando a benefici economici l’ho abbandonata. Mi ero iscritto alla facoltà di medicina, giungendo vicino al traguardo della laurea e alla fine ho mandato tutto al diavolo. Ma non ho mai smesso di mettere i miei studenti al centro della mia vita. Ogni volta che entravo in classe e iniziavo una lezione sentivo su di me una grande responsabilità, era come dare una esame. Era un fallimento se li vedevo distratti e annoiati, era come toccare il cielo se sentivo il loro interesse crescere e vedere i loro sguardi attenti, seguire il racconto della lezione.
Forse qualcosa abbiamo trasmesso
Allora forse la molla del mio impegno è stato quello di dare agli studenti quello che io non ho ricevuto dalla scuola. Di evitare che il disagio di stare a scuola che io ho sentito lo sentissero anche loro. Di trasmettere loro l’amore verso la scienza in particolare verso la chimica. Qualche volta penso di esserci riuscito.