La scoperta dell’elemento Cloro

Chi ha scoperto l'elemento Cloro è una storia ancora da chiarire

by Roberto Poeti

Il Cloro amico di tutti.

La maggior parte dei medicinali, inclusi molti “farmaci salvavita”, sono prodotti utilizzando la chimica del cloro. Il cloro è uno dei più importanti battericidi ed è insostituibile per fronteggiare lo sviluppo e la diffusione di epidemie. Il cloro rende l’acqua sicura: il 90% dell’acqua potabile utilizzata nell’Europa occidentale è ottenuta per clorazione. Il cloro viene utilizzato per la decontaminazione delle reti idriche pubbliche danneggiate da disastri naturali, quali inondazioni, tifoni e terremoti.

Nello sport e nel tempo libero

Molte attività del tempo libero si basano sull’uso di equipaggiamenti e oggetti prodotti con il cloro. Tra questi i palloni da calcio, le tende, i capi di abbigliamento impermeabili, gli skateboards, le racchette da tennis e gli sci. L’elemento cloro contribuisce ad accrescere l’affidabilità e le performance delle calzature e rende le barche più leggeri, veloci e resistenti alla corrosione.

 In natura

Il cloro è uno degli elementi più comuni in natura; si trova nei mari, nei fiumi, nelle piante e negli animali. Sono oltre 2.300 le sostanze presenti in natura, tra quelle identificate, che lo contengono.
Nell’uomo il cloro è il decimo elemento più abbondante tra i 15 che compongono il 99,5% del corpo umano. I composti clorurati sono presenti nel sangue, nella pelle e nei denti e, sotto forma di acido cloridrico, nel nostro apparato digerente. Il mare è fonte di vita. Il sale – un composto di sodio e di cloro – costituisce il 2,9% degli oceani mondiali. La salamoia, soluzione di acqua e sale, è la principale materia prima per produrre il cloro. Il sale proviene dall’acqua di mare e dalle miniere.

La storia del Cloro

L’articolo seguente racconta la storia della scoperta dell’ elemento Cloro a cui hanno contribuito molti illustri chimici come Scheele , Berthollet, Gay-Lussac,  Thenard,  Davy alla fine del XVII secolo e inizio del XVIII  . A metà del secolo scorso la storia della sua scoperta si è fatta più complicata quando due storici francesi hanno tolto dall’oblio un chimico francese Curaudau al quale essi attribuiscono la paternità della scoperta . Anche di  questo  ci parla  l’articolo  dello storico della scienza Hugues Chabot, dell’Université de Lyon, France.  Questo saggio può essere utilizzato  nella didattica della chimica , quando si voglia affrontare questa disciplina anche nel suo sviluppo storico. Ho tradotto l’articolo dal francese conservando la sua impostazione, aggiungendo solo qualche nota.

.                                                Chi ha scoperto il cloro ?

È giustificato attribuire la scoperta del cloro a Carl Wilhelm Scheele (1742-1786)? Il chimico svedese fu infatti il primo a caratterizzare e isolare nel 1774 la sostanza che oggi porta questo nome [1], avendolo ottenuto per azione dell’acido muriatico (acido cloridrico) sulla pirolusite (minerale di biossido di manganese):  MnO2 +  4 HCl     → MnCl2 + Cl2 + 2H2O    Di colore giallo, dall’odore acuto e penetrante, il nuovo gas esercita un’azione sbiancante su fiori e piante verdi e forma sali con terre e alcali, sali identici a quelli prodotti dall’acido marino* da cui deriva. Seguendo Georg Ernst Stahl (1660-1734), Scheele considerava che la combustione o calcinazione di un metallo in una calce fosse accompagnata dal rilascio di un principio chiamato flogisto. Al contrario, era possibile convertire la calce in un metallo mediante l’azione di una sostanza ricca di flogisto, come ad esempio il carbone. Negli esperimenti sulla magnesia*, l’acido muriatico* svolge quest’ultimo ruolo ed è per questo che Scheele chiama acido muriatico deflogisticato* la sostanza gassosa rilasciata durante la trasformazione.

Mentre Scheele identificava un particolare oggetto chimico, il termine successivo cloro aggiunse una caratteristica che non fu percepita dai chimici alla fine del XVIII secolo: la natura elementare della sostanza. Questo pone lo storico nell’obbligo di rendere conto di un’altra scoperta: quella dell’esatta composizione di questo corpo. Tanto più che l’ipotesi del flogisto viene poco dopo abbandonata dai chimici.

Berthollet e l’interpretazione lavoiseriana

Nel 1785, Claude-Louis Berthollet (1744-1822), formatosi alla chimica flogistica, si impegnò a studiare le proprietà del gas evidenziate da Scheele. Le sue ricerche lo convinsero della superiorità esplicativa di una nuova teoria proposta da Antoine-Laurent de Lavoisier (1743-1794), in cui l’ossigeno svolgeva esattamente il ruolo opposto a quello del flogisto. Berthollet è così condotto ad ammettere che, durante la preparazione dell’acido marino deflogisticato*, l’ossigeno viene rilasciato dalla magnesia e si combina con l’acido marino, cosicché l’ipotesi del flogisto diventa superflua. Questo è il motivo per cui ha ribattezzato la sostanza risultante “acido muriatico ossigenato” [2]. Etimologicamente infatti, ossigeno significa generatore di acido. Si ritiene quindi che anche l’acido muriatico ordinario (o marino) contenga ossigeno. Il chimico irlandese Richard Kirwan (1733-1822), anch’egli seguace del flogisto poi convertito alla teoria degli acidi di Lavoisier, coniò il termine «ossimuriatico». Negli anni che seguirono, quasi tutti i chimici in Europa adottarono la teoria, falsa ai nostri occhi, secondo cui gli acidi sono composti di ossigeno [3-4].

Inoltre, era stato osservato all’epoca che il gas ossimuriatico* si scioglieva in acqua ed esposto ai raggi del sole rilasciava lentamente ossigeno per dare acido muriatico. Ora sappiamo che si verifica una cosiddetta reazione di dismutazione del cloro:  Cl2 + H2O → HClO + HCl  fortemente spostata a sinistra, soprattutto lontano dalla luce. Ma sotto l’azione della luce, l’acido ipocloroso viene decomposto con rilascio di ossigeno:  HClO → ½O2 + HCl

L’equilibrio precedente viene quindi spostato verso destra. Tuttavia, per Berthollet e i suoi contemporanei, ignari delle reali reazioni in atto, il rilascio di ossigeno è la prova della presenza di ossigeno all’interno della sostanza. Inoltre, Berthollet sta lavorando sulle proprietà sbiancanti del gas ossimuriatico in soluzione. Il prodotto sbiancante industriale risultante dalla sua ricerca, noto come candeggina [5], ha consolidato la  sua reputazione e non  ha fatto altro che rafforzare la sua convinzione nella natura ossigenata dello stesso gas. Inoltre, nessun chimico era all’epoca in grado di concepire i veri agenti di scolorimento per ossigenazione che sono gli ipocloriti. Come Scheele, Berthollet potrebbe quindi essere considerato lo scopritore di una nuova sostanza, nuova nella sua presunta natura che si basava sulla interpretazione degli acidi ereditata da Lavoisier. Se prendiamo una terminologia introdotta dallo storico e filosofo della scienza Thomas Samuel Kuhn (1922-1996), la chimica lavoiseriana svolge il ruolo di un «paradigma» che  permette di vedere l’ossigeno nelle circostanze in cui è previsto. Tuttavia, persisteva un’anomalia: non era possibile decomporre il gas ossimuriatico, vale a dire isolare il corpo che, oltre all’ossigeno, lo costituisce. I chimici incontravano lo stesso problema con l’acido muriatico ordinario.

Gay-Lussac e Thenard: l’ipotesi del corpo semplice

Nei primi anni del 19° secolo, la chimica conobbe un’attività che si potrebbe quasi definire di routine. In applicazione del programma analitico risultante dalla riforma della nomenclatura introdotta da Lavoisier nel 1789, i chimici cercarono di scomporre sistematicamente le sostanze naturali per isolare gli elementi che le costituivano. Fu in questo contesto che il 27 febbraio 1809, due giovani promettenti chimici, Louis-Joseph Gay-Lussac (1778-1850) e Louis-Jacques Thénard (1777-1857), presentarono all’Accademia delle scienze una ricerca sull’acido ossimuriatico. Suggerirono un’ipotesi inedita ed eterodossa: tutti i fenomeni osservati possono essere spiegati se consideriamo il gas muriatico ossigenato come un unico elemento. Il carattere indecomponibile della sostanza, quindi la sua natura elementare, sembra prevalere quando l’azione del più potente riduttore conosciuto – il carbone ardente – non produce alcun risultato. Ma l’audacia intellettuale dei giovani chimici fu frenata da Berthollet, che qualche anno dopo ammise: “Mi sono opposto fermamente al parere dei  Sig. Gay-Lussac e Thénard quando lessero per la prima volta, al nostro incontro ad Arcueil, il memoriale in cui erano esposte le ragioni che li spinsero a considerare il gas muriatico ossigenato come un corpo semplice, e li esortai a presentare questa opinione solo con molta più cautela ” [6].

Tanto che due anni dopo, quando pubblicarono una raccolta di opere congiunte sotto il titolo di Ricerche fisico-chimiche [7], rimasero ambigui sulla questione della natura dell’acido ossimuriatico. Nel centinaio di pagine che avevano dedicato alla sostanza,sono citati ventuno fatti nuovi che invocano l’ipotesi di un corpo elementare. Al termine del loro lavoro, però, i due chimici affermarono di ritenere ancora discutibile l’ipotesi. In una lunga relazione scritta a nome dell’Accademia e allegata al loro lavoro, Berthollet elencò tutte le reazioni insolite che si devono immaginare se si adotta l’ipotesi del corpo elementare, e quindi dell’assenza di ossigeno nella sostanza. Ad esempio, si dovrebbe ammettere che il rilascio di ossigeno osservato durante l’aggiunta di gas ossimuriatico ad una calce ritenuta secca proverrebbe dall’acqua che vi rimarrebbe unita all’insaputa dei chimici.

N.d.T. La calce era considerata un  elemento, non contenete perciò ossigeno. Se la calce non contiene ossigeno, e il gas ossimuriatico è considerato un elemento, da dove può provenire l’ossigeno quando reagiscono? Berthollet ironizza, supponendo che dell’acqua sia nascosta nella calce secca  all’insaputa dei chimici. In realtà la calce o ossido di calcio reagisce con il cloro sviluppando ossigeno: 2CaO + 2Cl2 → 2CaCl2 + OLa calce fu considerata in modo corretto un composto tra calcio e ossigeno  proprio in quel periodo, quando Davy  isolò il calcio attraverso l’elettrolisi.

Molte di queste spiegazioni ad hoc diventerebbero necessarie per reinterpretare le reazioni chimiche che coinvolgono il gas ossimuriatico. Berthollet invoca cautela in materia di ipotesi, sottoponendole a un principio di economia e di analogia. Il valore e la fecondità di un’ipotesi possono essere misurati dalle analogie che essa permette di evidenziare tra le sostanze e le loro proprietà, una preoccupazione che diventa sempre più significativa con il proliferare di nuovi elementi e la questione emergente della loro classificazione.

Davy, inventore della denominazione cloro

I resoconti dell’identificazione del cloro come sostanza semplice spesso evidenziano la competizione tra Gay-Lussac e il chimico inglese Humphry Davy (1778-1829). In effetti, è iniziata una corsa su entrambe le sponde della Manica a caccia di nuovi elementi. I chimici francesi e inglesi si trovarono in diretta competizione per l’identificazione dei radicali degli acidi borico, fluorico (il fluoro non fu isolato fino al 1886 da Henri Moissan [8]) e muriatico. Davy conobbe il lavoro di Gay-Lussac e Thenard. Notò anche l’assenza di decomposizione del gas ossimuriatico da parte del carbonio incandescente, in un arco elettrico prodotto dalla recentissima batteria sviluppata da Alessandro Volta (1745-1827). Cercò quindi di scomporre direttamente il corpo studiato sottoponendolo a scosse elettriche per diverse ore, ma senza successo. Tanto che, a differenza dei due chimici francesi, adottò senza riserve l’ipotesi dell’elemento semplice e la sostenne con nuovi esperimenti, che comunicò il 12 luglio 1810 alla Royal Society. I suoi risultati furono pubblicati anche in francese nei numeri di ottobre e novembre 1810 degli Annales de Chimie. Ben presto, Davy propose di rinominare la sostanza «cloro» : “Dopo aver consultato alcuni dei più illustri chimici inglesi, si è pensato che la strada più adatta fosse quella di basare il nome su una delle proprietà caratteristiche più evidenti della sostanza, vale a dire il suo colore.”[9]

L’istituzione scientifica, giudice della scoperta

In Francia, l’Accademia delle Scienze è stata caratterizzata fin dalle sue origini da un sistema di rapporti destinati a valutare i contributi scientifici. L’istituzione svolge anche il compito  di registrare le scoperte [10]. Le relazioni accademiche prestano particolare attenzione al criterio della novità nel giudicare il valore di una memoria, la mancanza di originalità costituisce addirittura una causa di rifiuto [11]. Nel caso del cloro, tenendo conto di questa dimensione sociale dell’attività scientifica,  l’Accademia ha svolto un ruolo essenziale nell’assegnare la novità dell’ipotesi del corpo semplice e soprattutto della sua dimostrazione. Un fatto molto interessante merita di essere sottolineato qui: nei verbali dell’istituzione, oltre ai contributi di Berthollet, Gay-Lussac, Thenard e Davy, appare la traccia di un autore molto poco conosciuto, il farmacista e chimico François-René Curaudau (1765-1813), che cerca di far valere i suoi diritti sulla paternità della scoperta. Dopo aver studiato farmacia e chimica al Collège des Apothicaires di Parigi, Curaudau si dedicò a tempo pieno dal 1800 alla chimica e alle sue applicazioni industriali [5]. Le sue invenzioni e i suoi processi gli aprirono le porte di diverse società scientifiche, tra cui la Société d’encouragement pour l’industrie nationale e l’Athénée des arts dove insegnò pirotecnica. Lo stesso non vale per le sue ricerche teoriche sulla costituzione di alcali, zolfo, fosforo, boro e gas ossimuriatico, che furono accolte sfavorevolmente dall’Accademia. Tanto che Curaudau indossò velocemente la veste  del ricercatore emarginato che si considera il bersaglio dell’incomprensione, persino dell’ostilità della scienza ufficiale, mentre i suoi critici credevano che fosse rimasto intrappolato nell’ errore. Il farmacista entrò sulla scena dell’affare del cloro il 5 marzo 1810 presentando all’Accademia una dissertazione intitolata Considerazioni generali sulle proprietà del gas muriatico ossigenato,  seguito da esperimenti che dimostrano che questo gas non contiene ossigeno [12]. È passato così esattamente un anno da quando l’ipotesi della natura elementare della sostanza è stata suggerita, con grande riserva, da Gay-Lussac e Thenard (Davy non ha ancora pubblicato nulla sull’argomento). In letteratura, tuttavia, non si fa  mai alcuna menzione del ruolo che Curaudau potrebbe aver svolto nell’identificazione del cloro. Le uniche eccezioni sotto forma di riabilitazione, due studi di Pierre Lemay [13] e Claude Viel [14] gli attribuiscono la dimostrazione della natura elementare della sostanza. I due storici basano la loro valutazione sulle conclusioni, corrette agli occhi dei posteri, raggiunte dal farmacista:

  • – che il gas muriatico secco ossigenato non contiene ossigeno;
  • che i fenomeni di ossidazione attribuiti a questo gas sono dovuti solo all’acqua che può contenere;
  • che questo gas ben essiccato non può ossigenare i corpi che sono a contatto con esso, mentre combinato con l’acqua agisce come ossidante;
  • – che l’acido muriatico è solo una combinazione del radicale muriatico con l’idrogeno;
  • – che i muriati metallici non sono sali formati dalla combinazione di acido muriatico con metalli, ma che sono combinazioni del radicale muriatico con metalli, muridi (cloruri) come ne propone il nome.

Resta il fatto che nei confronti di quest’opera sono stati pronunciati giudizi di errore, contraddizioni o mancanza di originalità. È quindi necessario esaminare più da vicino i criteri di valutazione, cioè le due relazioni accademiche che respingono la scoperta di Curaudau (un’analisi approfondita può essere trovata nel riferimento [15]). La prima  ha l’obbiettivo  di giudicare il valore dimostrativo degli esperimenti destinati a validare la nuova ipotesi, mentre la  seconda si propone di decidere sulla questione dell’originalità del contributo del farmacista. Aggiungiamo che a quel tempo i legami tra chimica e farmacia erano stretti [16-17].

La scoperta messa alla prova attraverso la sua replicazione

La prima commissione incaricata di esaminare l’opera di Curaudau fece il resoconto all’Accademia il 18 giugno 1810 [18]. Questa relazione presentava tutti gli esperimenti su cui Curaudau basavò la sua tesi, quindi annunciò che l’ultimo era stato selezionato per essere ripetuto. Il suo autore lo riteneva infatti determinante: “Per provare in modo incontestabile che il gas muriatico ossigenato non contiene ossigeno, mi rimaneva di trovare un esperimento per mezzo del quale si potesse combinare immediatamente il gas muriatico ossigenato con un ossido metallico senza un conseguente sviluppo di ossigeno, né un’eccessiva ossidazione dell’ossido metallico” [12]. Destinato a dimostrare inequivocabilmente l’assenza di ossigeno nella sostanza in questione, l’esperimento consisteva  nel portare del gas ossimuriatico a contatto con una soluzione di nitrato d’argento. Si tentò quindi di ripetere questo esperimento cruciale. Curaudau fu invitato a partecipare e anche a prendervi parte: “In diverse sessioni, abbiamo ripetuto questo esperimento molto ampiamente alla presenza del Sig. Curaudau, e lo abbiamo reso testimone e giudice dei risultati ottenuti, per metterlo nell’impossibilità di accusarci di parzialità” [18]. Sfortunatamente, la riproduzione dell’esperimento fu un fallimento per Curaudau, poiché ci fu emissione di ossigeno. Cosa può essere successo?

Il nitrato d’argento viene oggi utilizzato per la determinazione della quantità degli ioni cloruro in soluzione. Il metodo, preciso ma lungo e delicato, si applica all’acido cloridrico. L’esperimento di Curaudau, dal canto suo, mette in gioco l’acqua clorata. In questa il cloro si decompone alla luce secondo la reazione di sproporzione già citata (Cl2 + H2O → 2 HCl + ½ O2). Ma poiché Curaudau e i suoi giudici stanno lavorando per precipitare tutto il cloro utilizzando nitrato d’argento, possiamo anche considerare una riduzione dell’acido ipocloroso (HClO) da parte del nitrato d’argento:  HClO + AgNO3 → AgCl + HNO3 + ½ O2

quest’ultima reazione è anche accompagnata da un rilascio di ossigeno. All’epoca la commissione accademica vide in questo esperimento negativo una nuova prova dell’ossigenazione del gas ossimuriatico. Curaudau rifiutò questa interpretazione. Secondo lui, il fallimento dell’esperimento mise in discussione la cura posta nella manipolazione e la qualità dei prodotti utilizzati. Difese inoltre l’idea che deve esistere tra l’acqua e il gas ossimuriatico una reazione in grado di rilasciare l’ossigeno contenuto nell’acqua. Non avendo una descrizione dei meccanismi precisi di reazione della sostanza controversa, con il nitrato d’argento come con l’acqua, è molto difficile per lo storico dare ragione a Curaudau o all’Accademia.

Scoperta e pretesa priorità

L’8 luglio 1811, Curaudau presentò all’Accademia una nuova ricerca sul gas ossimuriatico [19]. Egli rivendicò la priorità della scoperta del suo carattere elementare, in particolare su Davy, “sorpreso che questo chimico, per di più così ricco di fondi propri, abbia trattato, diversi mesi dopo di me, la stessa questione, senza citarmi in alcun modo” [19]. Infatti, se l’Accademia si preoccupò nuovamente di esaminare le ricerche di Curaudau, fu senza dubbio perché le recenti pubblicazioni del chimico inglese e quelle di Gay-Lussac e Thenard diedero sempre più corpo all’ipotesi dell’elemento semplice. È anche e soprattutto perché le denunce pubbliche di Curaudau misero in discussione l’imparzialità e la regolarità della procedura d’esame dell’Accademia. Fatto sorprendente, il rapporto letto davanti all’Accademia il 23 e 30 settembre 1811 fu stampato negli Annales de Chimie [20]. In primo luogo, si confermò la relazione fatta l’anno precedente, secondo cui “si sono rivelati virulenti i reclami che l’autore ha indirizzato su diversi membri della Classe” [20]. Poi si rispose all’accusa di plagio contro Davy. Infine, venne fatta una valutazione che faceva il punto sulle conoscenze accettate sulla natura del gas ossimuriatico. Il rapporto fu una confutazione di tutte le affermazioni di Curaudau sulla paternità dell’ipotesi del cloro elementare, nonché sulla sua dimostrazione sperimentale. Berthollet fu l’editore e molto probabilmente l’autore principale. Nessuno degli esperimenti che analizzò è considerato nuovo, utile, affidabile o addirittura possibile, in termini di conoscenze acquisite. Alla fine, il rimprovero essenziale fatto a Curaudau fu di voler dimostrare troppo la sua ipotesi preferita con pochi fatti scelti, e di dimenticare di moltiplicare e variare i test e le analisi, a differenza di Davy che, agli occhi di Berthollet, fece un utile lavoro di chimico: “Confronta, e spesso bilancia le due ipotesi, e la sua ricerca è arricchita da un gran numero di osservazioni preziose per la scienza,  indipendentemente dall’opinione” [20]

Epilogo

Nel 1816, nel quarto volume del suo famoso Traitè de chimie che ebbe più edizioni, Thenard spiegò le proprietà del gas muriatico ossigenato “nel presupposto che questo gas sia un corpo semplice” [21]. Nel frattempo, la nuova ipotesi aveva vinto la sua causa. La scoperta da parte di Gay-Lussac dello iodio [22], dotato di proprietà simili a quelle del cloro (in particolare l’esistenza di un idracido, l’acido iodidrico, analogo dell’acido muriatico), rese  improvvisamente più naturale l’esistenza dell’elemento cloro

In conclusione

La scoperta del cloro è quindi un evento multiplo. A seconda che si privilegi la sostanza materiale, l’idea che si ha di questa sostanza, o la ricezione di questa idea, si attribuirà la novità a Scheele nel 1774, a Gay-Lussac e Thenard, a Davy, o anche a Curaudau, nel 1810, o infine all’intera comunità chimica che la riconosce e la consacra come tale nel decennio successivo. Da questo punto di vista, l’assegnazione di una scoperta costituisce un fatto sociale costruito dalla comunità scientifica [23], per il quale la procedura di esame istituita dall’Accademia è esemplare. Ma l’accantonamento delle rivendicazioni di Curaudau illustra anche gli standard di convalida associati alla pratica chimica dell’inizio del diciannovesimo secolo. Alla scoperta annunciata da Curaudau, quindi alle sue pretese di priorità, fu quindi negato qualsiasi valore a causa di esperimenti incomprensibili, non riproducibili o inventati. Tuttavia, si dirà, anche se non è stato in grado di mettere in atto mezzi sufficienti per sostenere una tesi che andava contro le idee comunemente accettate, Curaudau aveva ragione! Ma designarlo come il vero identificatore del cloro, sulla base di conclusioni provate in seguito, si perde il contesto scientifico storicamente situato in cui una tale scoperta diventa possibile e plausibile. La cosa più sorprendente è che i chimici di scuole opposte finiscono per evolversi e concordare su fatti e teorie. In effetti, tutti gli attori della chimica degli anni 1810, da Gay-Lussac a Jöns Jacob Berzelius (1779-1848), l’ultimo grande chimico ad ammettere il carattere elementare del cloro nel 1820 [24], passando da Davy e Berthollet (che aderì all’idea nel 1816 sulla base dei propri esperimenti), si interrogarono e si convinsero personalmente della natura elementare della sostanza controversa. L’accettazione di una scoperta risulta quindi da un processo di accumulo e convergenza di molteplici prove. Questa diversità e simultaneità della scoperta si trova in molti casi, uno dei più famosi in chimica è quello dell’ossigeno [25]. Per quanto riguarda il cloro, la sua storia è ricca di molti altri sviluppi e controversie [26].

N.d.T. Ho inserito nel testo tradotto anche i numeri delle note che l’autore riporta nel testo originale. I riferimenti delle note   si possono vedere  nell’articolo originale che ho allegato in formato PDF.

L’allegato è il testo  originale in francese 

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