Il museo conserva intatta la struttura degli ambienti di chimica della prima metà dell’800.
Ho visitato il Museo di Justus von Liebig a Giessen nel 2012 2022. Fui fortunato, perché quella mattina i visitatori erano quasi assenti e il Prof. Manfred Kroeger , membro del C.d.A. della società Justus Liebig di Giessen, che si trovava lì in quel momento, fu tanto gentile da farmi da guida per l’intero complesso del Museo. Fu una occasione unica per apprezzare la ricchezza del museo che solo un chimico come il Prof. Kroeger sapeva far esaltare. La notizia dell’incendio al museo di chimica che è scoppiato nell’ala “nuova” del complesso mi è apparsa in tutta la su tragicità quando è stata pubblicata la prima foto scattata, dopo che l’incendio è stato domato, martedì mattina del 6 dicembre 2022.
La parte frontale dell’aula magna, dove era collocato il grande bancone per le lezioni dimostrative, gli arredi della parete, nonché parte dei banchi sono andati distrutti dall’incendio al museo di chimica. Possiamo avere un’idea del danno se confrontiamo l’immagine con le foto da me scattate durante la visita.
Come possiamo vedere dalla pianta del complesso museale, riportata di seguito, l’aula magna è in comunicazione con il laboratorio di analisi, che a sua volta è messo in comunicazione con il laboratorio farmaceutico, la biblioteca e la sala delle bilance. Questi ambienti, soprattutto il laboratorio di analisi, sono stati danneggiati dalla fuliggine , dalle alte temperature e non da escludere dall’acqua, in seguito all’incendio al museo di chimica. Se c’è un luogo che rappresenta il cuore di tutto quanto il museo , questo è il laboratorio di analisi. La sua costruzione risale al 1839. Si aggiungeva al vecchio laboratorio dove Liebig lavorava dal 1824. L’Università di San Pietroburgo aveva offerto una cattedra di chimica a Liebig con un salario che era più del doppio di quello percepito a Giessen. Liebig rimase a Giessen ma ottenne in cambio che venisse ampliato l’istituto con una nuova ala che comprendeva anche il nuovo laboratorio di analisi.
Il nuovo laboratorio venne costruito secondo le indicazioni di Liebig. Occupava un ampio spazio, era dotato di un sistema di cappe aspiranti e di banchi da laboratorio distribuiti in modo che si potesse svolgere sia un intenso lavoro di analisi, sia quello di insegnamento . Divenne un modello di laboratorio che August Wilhelm von Hofmann, che aveva studiato chimica con Liebig, definì “la madre di tutti gli istituti chimici del mondo intero”. Liebig perfezionò in questo laboratorio un metodo di analisi elementare delle sostanze organiche, inventando l’ingegnoso sistema a cinque bolle per assorbire la CO2, chiamato anche “Kaliapparat”, che oggi è rappresentato nel logo della Società Chimica Americana. L’importanza di questo piccolo apparato può essere compresa da un semplice confronto: Berzelius, che Liebig stesso aveva elogiato come il più abile sperimentatore del tempo, era riuscito ad analizzare 7 sostanze in 18 mesi, usando il vecchio metodo. Liebig analizzò 70 sostanze in 4 mesi. Era come se un pedone cercasse di competere con una automobile molto veloce.
L’aula magna con il laboratorio adiacente sono ripresi in questo film che ho montato e pubblicato su YouTube prima dell’incendio al museo di chimica :
Veduta interna del laboratorio chimico di Justus Liebig
Il laboratorio chimico di Justus Liebig nell’Università tedesca di Giessen fu uno dei più importanti e famosi di tutto il secolo XIX, divenne così famoso il suo laboratorio che non solo vi fecero pratica chimici di tutta Europa, ma accolse anche chimici dall’America. Il dipinto del 1840, che appartiene alla quadreria del museo, è una delle illustrazioni più famose della chimica classica, mostra in modo efficace l’attività che si svolgeva, era un’immersione in un ambiente internazionale, orientato alla ricerca pura, ma non alieno da applicazioni pratiche . Vi sono rappresentati in modo realistico diversi chimici: in posa all’estrema sinistra è il messicano Ortigosa, le cui analisi avevano corretto certe ricerche dello stesso Liebig, nella mano stringe il “Kaliapparat”; in piedi intorno al tavolo di sinistra stanno discutendo W. Keller, poi farmacista a Filadelfia, e Heinrich Will, che sarà il successore di Liebig a Giessen; all’estrema destra E. Boeckmann sta scaldando il fondo di una provetta sotto gli occhi di August Hofmann: il primo diventerà direttore di una fabbrica di coloranti inorganici, il secondo fonderà due scuole di chimica importanti, prima a Londra e poi a Berlino. Dalla Enciclopedia Treccani ho tratto questo significativo passaggio di Marco Beretta alla voce “L’Ottocento: Chimica e istituzioni”:
« Una cittadina provinciale [Giessen] di poco più di 5000 abitanti la cui unica risorsa erano gli studenti, per di più situata in uno Stato relativamente periferico nella galassia degli Stati tedeschi, non sembrava promettere un grande avvenire alle ambizioni di Liebig di creare una scuola e un laboratorio di chimica quantomeno dignitosi. Le cose, come è noto, andarono diversamente e in pochi anni il suo laboratorio divenne la capitale della chimica mondiale, sottraendo prestigio e autorità alle più celebri scuole di Berzelius, Gay-Lussac e Davy. Studenti di tutti i paesi e di tutti i continenti furono attratti dalla capacità sperimentale e dai metodi innovativi di insegnamento adottati da Liebig. Vi studiarono infatti i francesi Wurtz, Charles Frédéric Gerhardt e Henri-Victor Regnault, i britannici Alexander W. Williamson, Lyon Playfair e James Muspratt, il messicano J.V. Ortigosa e i tedeschi Wöhler, Kopp, August Wilhelm von Hofmann, Volhard, Friedrich August Kekulé per non citare che i nomi più noti [ Furono allievi di Liebig anche diversi chimici italiani. Ascanio Sobrero frequentò il laboratorio di Giessen nel 1843 dove isolò allo stato puro il guaiacolo ] . Cosa può aver indotto 194 studenti ‒ tanti furono gli stranieri che a vario titolo frequentarono il laboratorio di Liebig tra il 1830 e il 1850 ‒ a spingersi fino a Giessen quando, standosene a Londra o a Parigi, avrebbero potuto disporre di sedi ben più attrezzate e moderne, lo spiega lo stesso Liebig: gli ingredienti principali del successo erano il rapporto di stretta collaborazione che egli era capace di instaurare con ciascuno studente, e la libertà, sia pur guidata, dei loro programmi di ricerca sperimentale. Per completare il quadro si può aggiungere la totale mancanza di distrazioni che offriva Giessen.»
Come si può vedere dall’immagine, l’incendio al museo di chimica non ha interessato il laboratorio, che si è conservato integralmente. Non c’era il camice da lavoro, si vestiva in tait, come usava anche Liebig. Non c’è da meravigliarsi se si pensa che in tait operavano all’epoca i chirurghi durante le esercitazione con gli studenti nelle aule anatomiche. Nel complesso museale si è conservato il vecchio laboratorio, indicato con il n°1 nella pianta, che venne colpito da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, per poi essere ripristinato. Non è stato toccato questa volta dall’incendio. È interessante un confronto tra nuovo (1839) e il vecchio laboratorio (1824) per capire il salto compiuto nella organizzazione del laboratorio chimico da Liebig.
Liebig lavorò in questo laboratorio all’inizio con 9 e più tardi 12 studenti. Qui è dove ha posto le fondamenta della chimica organica. Nel mezzo della stanza è collocata un forno, ricostruito secondo la vecchia pianta, dotato di apparecchiatura del periodo. Il fuoco nel forno era alimentato con carbone; la fiamma di “spirito”, o alcol, era riservata per i lavori più importanti. Non c’erano cappe aspiranti. Se necessario le finestre e le porte esterne erano aperte per creare ventilazione. Si può immaginare che questo veniva fatto di rado durante l’inverno. Già a quel tempo gli esperimenti erano fatti usando sostanze più o meno pericolose, ma impiegando generalmente una larga quantità di sostanza rispetto a quella che sarebbe necessaria oggi. Una difficoltà aggiuntiva era che a quel tempo i chimici dovevano produrre tutti i necessari reagenti da loro stessi o isolarli da prodotti commerciali disponibili grezzi. Questa procedura , per esempio la distillazione di acidi, era eseguita nel piccolo forno, il quale era equipaggiato da una cappa aperta ai lati. È comprensibile che questa mancanza di condizioni igieniche chimiche erano dannose alla salute dei chimici, molti dei quali soffrivano inevitabilmente di problemi di salute cronici. Lettere dai chimici in quel periodo confermano che essi stessi consideravano i loro frequenti problemi di salute come “ malattie professionali”. Parlano di malattie della pelle, condizioni asmatiche (Liebig), disturbi di stomaco e altre. Anche il sistema nervoso soffriva. Sono descritte fasi di profonda depressione, e generalmente una irritabilità costante viene documentata, per la quale Wohler conia il nome “ isteria dei chimici”. Con il nuovo laboratorio si sanano molte situazioni igieniche e i disturbi associati all’attività del chimico in gran parte scompaiono. È un altro grande merito di Liebig.
Conclusione
Il Museo di Liebig è una testimonianza storica, per tutto quello che abbiamo visto, di enorme valore. Non a caso è stato candidato per essere dichiarato Patrimonio dell’umanità. Ci auguriamo che possa essere recuperato e restituito ai chimici, e non solo, di tutto il mondo.
Per approfondire ancora do più in questo blog:
https://www.robertopoetichimica.it/museo-dellistituto-chimica-liebig-1a-parte/
https://www.robertopoetichimica.it/listituto-chimica-liebig-giessen/
https://www.robertopoetichimica.it/museo-dellistituto-chimica-liegig-3a-parte/
L’aula magna di Chimica di Ugo Schiff a Firenze
Nella vecchia sede della Facoltà di Chimica a Firenze ( Palazzina dei servi) si conserva l’aula magna di chimica costruita su progetto di Ugo Schiff, fondatore della scuola di chimica fiorentina. L’aula Schiff ad anfiteatro, realizzata tra 1879 ed il 1884, oltre ad avere importanza storica e artistica, è probabilmente la più antica d’Italia per quanto riguarda l’insegnamento della Chimica. Per quasi centotrent’anni, dal 1872 al 2001 la Palazzina dei Servi di Via Gino Capponi è stata la sede degli Istituti Chimici di Firenze.
Schiff curò in prima persona il trasferimento degli Istituti Chimici da Via Romana a Via Gino Capponi e progettò personalmente l’intera ala nord dell’edificio, di cui faceva parte la “Sala delle Lezioni” (l’odierna “Aula Ugo Schiff”), a cui questi immagini si riferiscono.
Dal 2001 l” Aula Ugo Schiff “ è chiusa, inaccessibile al pubblico e sta cadendo in rovina.
È possibile che non ci sia una istituzione pubblica o privata che restituisca questo patrimonio alla cultura, al pubblico, dopo ventuno anni di silenzio ?